Monologhi teatrali

Ci vengono continuamente richiesti consigli sui monologhi da scegliere. Vi proponiamo alcuni monologhi maschili e femminili che riteniamo possano rappresentare delle ottime sfide per le allieve attrici e gli allievi attori.
Come sempre alcuni consigli importanti:

  1. leggete sempre tutto il copione di riferimento, non limitatevi ad imparare il monologo senza conoscerne il contesto;
  2. non scegliete quello che vi piace di più, ma quello che può far emergere le vostre capacità e soprattutto le vostre caratteristiche, anche se questo che vi costringe ad uscire dalla vostra zona di comfort;
  3. non copiate quello che vedete su Youtube, ma trovate piuttosto un modo vostro, originale, diverso: chi vi guarderà non vorrà vedere una brutta copia di qualcun altro;
  4. preparate più versioni, poiché spesso i docenti o le commissioni d’esame chiedono di vedere anche cose diverse, per testare la capacità delle attrici e degli attori di adattarsi alle richieste.

I monologhi sono divisi in maschili e femminili: il nostro consiglio però è di divertirvi e di scegliere anche monologhi che non appartengono al vostro genere, poiché recitare significa trasformarsi! Molti attori voglio fare il monologo di Amleto, come molte attrici hanno il desiderio di portare Giulietta, oppure Ofelia, ma un attore che porta Ofelia è raro da vedere e viene molto apprezzato, così come ad esempio un attrice che porta il monologo finale del Cavaliere di Ripafratta de “La locandiera”.
Se volete qualche consiglio in più, vi proponiamo le nostre “Regole del monologo perfetto”, dove vengono spiegate alcune dritte che possono aiutarvi sia nella scelta sia nello studio e nell’esecuzione.

Ricordate che i docenti dell’Accademia Da Ponte sono a vostra disposizione gratuitamente per qualsiasi aiuto, anche se non frequentate la nostra scuola.

Per ogni monologo indichiamo quello che per noi è il grado di difficoltà, le caratteristiche che secondo noi dovrebbe avere l’attore, il grado di originalità (ovvero quante probabilità ci sono che altre attrici o altri attori portino lo stesso monologo) e alcune note. Il grado di originalità alto indica che difficilmente qualcun altro porterà questo monolog, il grado di originalità basso significa invece che è un monologo abbastanza inflazionato, quindi il rischio di confronti da parte di chi lo guarda è ben presente. È importante però che le indicazioni riportate vengano viste come consigli e punti di vista personali, che non hanno la pretesa di rappresentare la verità assoluta.

QUESTA PAGINA VIENE AGGIORNATA PERIODICAMENTE.

MONOLOGO FEMMINILE
Giulio Cesare
William Shakespeare

PORZIA
(in stato catatonico)
La sua mano sinistra si è infiammata bruciando come venti torce tutte insieme, e tuttavia la sua, insensibile al fuoco, è rimasta intatta.
Davanti alla casa ho incontrato un lupo che mi ha guardato fisso e se n’è andato via torvo, senza farmi alcun male.
All’improvviso, pieno mezzogiorno, e una civetta si è seduta in mezzo alla piazza, urlando e stridendo.
Una statua che grondava sangue come una fontana: molti si sono accostati sorridendo e in quel sangue bagnavano le mani.
E una leonessa vagava per le strade in cerca di un luogo dove partorire…
Ho sognato stanotte che cenavo con Cesare, e cose di cattivo auspicio gravano sulla mia fantasia. Non ho nessuna voglia di allontanarmi da casa, eppure qualcosa mi spinge fuori.
Come ti chiami?
Dove stai andando?
Dove abiti?
Sei sposata o nubile?
Rispondi direttamente a ognuno.
Sì, e brevemente.
Sì, e saggiamente.
Sì, e sinceramente, ti conviene.
Come mi chiamo? Dove sto andando? Dove abito? Sono sposata o nubile? Allora, per rispondere a ognuno precisamente e brevemente, saggiamente e sinceramente; saggiamente dico che sono nubile.
Ciò equivale a dire che sono gli scemi a sposarsi. Per questo, ho paura che ti prenderai uno schiaffo da me.
Procedi: direttamente.
Direttamente, sto andando al funerale di Cesare.
Da amica o da nemica?
Da amica.
A questo ha risposto direttamente.
La tua abitazione, brevemente.
Brevemente, abito vicino al senato.
Il tuo nome, signora, sinceramente.
Sinceramente il mio nome è Porzia.
Fatela a pezzi, è una cospiratrice!
Io sono Porzia la moglie di Bruto!
Fatela a pezzi per i suoi brutti sogni, fatela a pezzi per i suoi brutti sogni.
Io non sono Porzia la cospiratrice!
Non fa nulla, il suo nome è Porzia! Strappatele dal cuore soltanto il nome, e lasciatela andare.
Fatela a pezzi, fatela a pezzi! Avanti, un colpo! Avanti!

Anno: 1599/1601 (adattamento 2018)
Lingua originale: inglese
Età scenica:
25/30 anni
Difficoltà: media
Adatto a: attrici (o attori) con una discreta preparazione di base e una buona gestione del corpo e del respiro.
Grado di originalità: alto

Note: Il monologo è un adattamento, quindi è importante presentarlo come tale per eventuali provini di ingresso nelle scuole. Il personaggio parla in modo delirante e sempre più angosciato, interpretando non solo se stessa ma anche i personaggi che le stanno attorno e che la accusano e la vogliono fermare. È un lavoro che consente grande libertà d’esecuzione, ma va preparato con grande cura.

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Triennio accademico 2025/20028

Fai della recitazione la tua professione

Workshop | Recitazione

Giorgio Sangati | Dall’1 al 5 Luglio

Workshop | Il monologo

Matteo Belli | Dal 7 al 21 Luglio

MONOLOGO FEMMINILE
Chi ha paura di Virginia Wolf
Edward Albee

MARTHA
Tutti siete un disastro! Tutti! Io sono la Madre Terra e voi siete dei disastri. Mi disgusto. Dedico la vita a tradimenti meschini e completamente inutili… (Ride con tristezza) a pretese di tradimenti. Saltare addosso alla padrona di casa? Che risate! Una banda di tangheri ubriachi e… impotenti. Martha gli fa gli occhi dolci e i tangheri ridacchiano e strabuzzano i loro begli occhioni e ridacchiano ancora, e Martha si lecca le labbra, e i tangheri fanno un salto al bar per raccattare un po’ di coraggio, e di fatto raccattano un po’ di coraggio, e a loro volta strizzano l’occhio alla vecchia Martha che fa una piccola danza in loro onore e questo serve a scaldarli… mentalmente.., e fanno un altro salto al bar e raccattano ancora un po’ di coraggio, mentre le mogli e le fidanzate guardano in aria.., a volte anche oltre il soffitto.., e questo rimanda i tangheri al bar per raccattare ancora un po’ di combustibile, mentre Martha se ne sta lì col vestito alzato sopra la testa… a soffocare — non sai quanto si soffochi col vestito alzato sopra la testa — a soffocare, dunque! ad aspettare i tangheri; e allora finalmente hanno raccattato tutto il loro coraggio… ma soltanto quello, bimbo mio! Oh, certo, a volte capita qualche tanghero di buon potenziale, ma buon Dio! Buon Dio! Buon Dio! Comunque è così che vanno le cose in una società civile. Tutti quei bellissimi tangheri. Poveri bambini. C’è stato soltanto un uomo in tutta la mia vita che mi ha… fatta felice. Lo sai? Soltanto uno. George… mio marito.
George che è li fuori nel buio… George che è buono è con me e che io insulto; che mi capisce e che io respingo; che sa suscitare in me una risata che io soffoco in gola; che sa tenermi stretta di notte tanto da scaldarmi e che io mordo tanto da farlo sanguinare; che sa sempre imparare i nostri giochi con la stessa rapidità con cui io ne cambio le regole; che può farmi felice, quando non voglio essere felice, e invece si, voglio essere felice. George e Martha: triste, triste, triste.
George cui non perdonerò mai di esser venuto per restare; di avermi visto e di aver detto: si, si può tentare; che ha commesso l’odioso, l’offensivo, l’insultante sbaglio di amarmi e per questo deve essere punito. George e Martha: triste, triste, triste.
George che sopporta, il che è insopportabile; che è gentile, il che è crudele; che comprende, il che è incomprensibile…
Un giorno… no, una notte… una qualunque stupida notte, imbottita di liquore… andrò troppo in là… e gli spezzerò la schiena… o lo leverò di mezzo una volta per tutte… ed è quello che mi merito.

Anno: 1962
Lingua originale: inglese
Età scenica:
50 anni
Difficoltà: medio-alta
Adatto a: attrici (o attori) con una buona preparazione di base e una buona gestione del corpo e del respiro.
Grado di originalità: medio-basso

Note: Il monologo rappresenta uno sfogo di Martha, e attraversa più stati d’animo. Il flusso continuo di parole appare talvolta confuso, ripetitivo, proprio perché vuole avvicinarsi il più possibile alla realtà. È ovviamente fondamentale leggere l’intera opera per capire il motivo per cui Martha arriva a questo punto: questo, in fase di rappresentazione, aiuta a trovare velocemente lo stato d’animo del personaggio e quindi il suo respiro e il suo corpo.

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MONOLOGO FEMMINILE
Salomè
Oscar Wilde

SALOMÈ
(Un grande braccio nero, il braccio del boia, emerge dalla cisterna portando su uno scudo d’argento la testa di Iokanaan. Salomè la afferra. Erode si nasconde il viso con il mantello. Erodiade sorride e agita il ventaglio. I nazareni s’inginocchiano e incominciano a pregare)
Tu non volevi che io baciassi la tua bocca, Iokanaan. Guarda, ora la bacerò. La morderò con i denti come si morde un frutto maturo. Sì, bacerò la tua bocca, Iokanaan. Te l’avevo detto, vero? Te l’avevo detto. Ecco, ora la bacerò… Ma perché non mi guardi, Iokanaan? I tuoi occhi che erano così tremendi, che erano così pieni di collera e di disprezzo, sono chiusi ormai. Perché sono chiusi? Apri gli occhi! Solleva le palpebre, Iokanaan. Perché non mi guardi? Hai paura di me, Iokanaan, che non mi vuoi guardare? E la tua lingua che era come un serpente rosso che scocca veleni, non si agita più, non dice più niente ormai, Iokanaan, quella vipera rossa che ha vomitato su di me il suo veleno. Strano, vero? Come è mai possibile che quella vipera rossa non si agita più? Non mi hai voluta, Iokanaan. Mi hai respinta. Mi hai detto cose infami. Mi hai trattata come una cortigiana, come una prostituta, io, Salomè, figlia di Erodiade, principessa di Giudea! Guarda, Iokanaan, io sono ancora viva, ma tu sei morto e la tua testa è mia. Posso farne quello che voglio. Posso buttarla ai cani e agli uccelli dell’aria. Ciò che i cani lasceranno, gli uccelli dell’aria lo mangeranno… Ah, Iokanaan, Iokanaan, sei stato il solo uomo che io abbia mai amato. Tutti gli altri uomini mi fanno ribrezzo. Ma tu eri bello. Il tuo corpo era una colonna d’avorio su un piedistallo d’argento. Era un giardino pieno di colombe e di gigli d’argento. Era una torre d’argento ornata di scudi d’avorio. Non c’era niente al mondo bianco come il tuo corpo. Non c’era niente al mondo nero come i tuoi capelli. Nel mondo intero non c’era niente rosso come la tua bocca. La tua voce era un turibolo che spande strani profumi, e quando ti guardavo sentivo una strana musica! Ah! Perché non mi hai guardato, Iokanaan? Dietro le tue mani e dietro le tue maledizioni tu hai nascosto il viso. Hai legato sugli occhi la benda di chi vuole veder il suo Dio. Bene, l’hai visto, il tuo Dio, Iokanaan, ma me… me… non mi hai mai vista. Se mi avessi vista, mi avresti amata. Io ti ho visto, Iokanaan, e ti ho amato. Oh! Quanto ti ho amato. Ti amo ancora, Iokanaan. Amo solo te… Ho sete della tua bellezza. Ho fame del tuo corpo. E né il vino, né la frutta possono appagare il mio desiderio. Cosa farò adesso, Iokanaan? Né i fiumi né le alte mareggiate potranno spegnere la mia passione. Io ero una principessa, tu mi hai disprezzata. Ero una vergine, tu mi hai sverginata. Ero casta, tu hai riempito le mie vene di fuoco… Ah! Ah! Perché non mi hai guardata, Iokanaan. Se mi avessi guardata mi avresti amata. Lo so che mi avresti amata, e il mistero dell’amore è più grande del mistero della morte. Bisogna guardare soltanto l’amore.
Ho baciato la tua bocca, Iokanaan, ho baciato la tua bocca. C’era un acre sapore sulle tue labbra. Il sapore del sangue? Ma forse era il sapore dell’amore. Dicono che l’amore ha un acre sapore… Ma cosa importa? Cosa importa? Ho baciato la tua bocca, Iokanaan, ho baciato la tua bocca.

Anno: 1891
Lingua originale: autore inglese ma prima scrittura in francese
Età scenica:
18-20 anni
Difficoltà: media
Adatto a: attrici (o attori) con una buona preparazione di base che non abbiano paura di esporsi.
Grado di originalità: molto basso

Note: Salomé viene solitamente rappresentata in modo estremamente sensuale (non per nulla Erode ordinò la decapitazione di Iokanaan per compiacerla, dopo che lei aveva danzato per lui). Lo stesso monologo parla – nel delirio – di desiderio, della non accettazione del rifiuto. Una ragazza che poteva avere qualsiasi amante desiderasse è stata rifiutata dall’unico uomo che voleva, proprio perché non poteva averlo. È un’estremizzazione della perversione del desiderio. Molte attrici interpretano questo monologo con nudità parziale per rappresentare ancor di più la sessualità dell’azione scenica, ma non lo riteniamo un elemento fondamentale: è importante invece, soprattutto per chi è alle prime armi, sentirsi a proprio agio per potersi concentrare sull’esecuzione.
In alcune traduzioni italiane il nome “Iokanaan” è tradotto con il nome cristiano di Giovanni (Battista). Consigliamo l’uso del nome originale per mantenere una sonorità più piena.
Le esclamazione emotive (Ah! Oh!) vanno intese come interiezioni, grandi uscite di fiato o di lamento. Evitate di pronunciarle così come scritte, all’occorrenza eliminatele.

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MONOLOGO MASCHILE
Cyrano De Bergerac
Edmond Rostand

CYRANO
Sai dirmi in che maniera?
Andar sotto padrone? Cercarmi un protettore?
E come un’ oscura edera che s’appoggia arrampicandosi all’albero tutore leccandogli la scorza, voler salir da furbo, e non invece a forza?
No, grazie.
Dedicare in ogni scartafaccio dei versi ai finanzieri?
Mutarsi in un pagliaccio, sperando di vedere, sul labbro di un ministro, lo spasmo di un sorriso un po’ meno che sinistro?
No, grazie.
Banchettare ogni giorno da un pidocchio?
Avere il ventre logoro dallo strisciare, e il ginocchio più prestamente sporco nel punto in cui si flette?
Rendermi primatista in assurde piroette?
No, grazie.
Riconoscere talento ai dozzinali?
Plasmarmi su ogni critica che appare sui giornali?
Oppure vivere sognando: “Oh, sento già la mia gloria percorrere le pagine dei libri di storia”?
No, grazie.
Fare calcoli? Tremare? Arrovellarsi? Preferire una visita a un paio di versi sparsi? Stendere delle suppliche? O farsi commendare?
No, grazie. No, grazie. No, grazie.
Ma cantare, sognare, ridere.
Splendido.
Da solo, in libertà.
Aver l’occhio sicuro, la voce in chiarità.
Mettersi se ti va di sghimbescio il cappello, per un sì, per un no, fare un’ode o un duello.
Fantasticare, a caccia non di gloria o di fortuna, ma su un viaggio a cui si pensa, sulla luna!
Se poi viene il trionfo, ebbene fatti suoi, ma mai, mai diventare un “come tu mi vuoi”.
E se pur quercia o tiglio davvero non si è… salire anche non alto, ma farcela da sé.

Anno: 1897
Lingua originale: francese
Età scenica:
25 anni
Difficoltà: media
Adatto a: attori (o attrici) con una buona preparazione di base, con ottima gestione dei fiati e del corpo e una buona conoscenza delle regole metriche
Grado di originalità: medio-basso

Note: Il monologo più famoso del teatro francese fu scritto in origine proprio per permettere all’attore Benoît-Constant Coquelin di dimostrare le sue grandi capacità. Nel carteggio tra autore e attore, durante la scrittura del testo, Rostand si raccomandò che ogni parte doveva essere recitata con un unico fiato. Ovviamente nella traduzione italiana la metrica originale un po’ si perde, così come la durata delle battute, ma il senso rimane quello. Il personaggio risponde con rabbia al suo interlocutore, rivendicando il suo desiderio di non essere come gli altri, di non piegarsi ad un comportamento “comodo”, ma di inseguire piuttosto i propri sogni e i propri desideri, pagandone eventualmente il prezzo. È importante far sentire le rime senza mai cadere nella cantilena scolastica.
Piccola nota curiosa: quando l’autore parla della luna, si riferisce al fatto che il vero Cyrano de Bergerac, vissuto nel XVII secolo, è considerato uno dei primi scrittori di fantascienza europei, poiché aveva pubblicato uno scritto che parlava di un viaggio sulla luna.
Questa traduzione è un mix di varie versioni, ma si ispira soprattutto all’egregio lavoro di Oreste Lionello.

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MONOLOGO MASCHILE
Novecento
Alessando Baricco

TIM TOONEY
Ladies and Gentlemen, meine Damen und Herren, Signore e Signori, Mesdames e Messieurs, benvenuti su questa nave, su questa città galleggiante che assomiglia in tutto e per tutto al Titanic! Ma tranquilli, questa nave è a prova di iceberg, almeno così ci hanno detto. A proposito che ci fate qui?
Una scommessa, vero? Anzi no, avevate i creditori alle calcagna, Oppure volevate solo vedere la nave e poi non vi siete accorti che era partita…
In questo momento vostra moglie è alla polizia che denuncia la vostra scomparsa…”era un uomo buono, normalissimo, in trent’anni mai un litigio. . .”
Insomma! Che diavolo ci fate qua, a trecento miglia da qualsiasi cazzo di terra ferma e a due minuti dalla prossima vomitata? Pardon madame, scherzavo…
Si fidi, questa nave se ne va come una biglia sul biliardo dell’Oceano… tac: sei giorni, due ore e quarantasette minuti e plop, in buca, New Yoooooork!
Non credo che ci sia bisogno di spiegarvi come questa nave sia, in molti sensi, una nave straordinaria e in definitiva unica.
Al comando del capitano Smith, noto claustrofobo e uomo di grande saggezza (avrete certo notato che vive in una scialuppa di salvataggio), lavora per voi uno staff praticamente unico di professionisti assolutamente fuori dall’ordinario: Paul Siezinskj, timoniere, ex sacerdote polacco, sensitivo, pranoterapeuta, purtroppo cieco…
Bill Joung, marconista, grande giocatore di scacchi, mancino, balbuziente. . . Il medico di bordo, dott. Klausermanspitzwegensdorfentag, aveste urgenza di chiamarlo siete fregati… Ma soprattutto: Monsieur Pardon…lo chef…direttamente proveniente da Parigi…Purtroppo se n’è anche tornato a Parigi, subito dopo aver verificato di persona la “curiosa circostanza” che vede questa nave priva di cucine. Circostanza che ha argutamente notato, tra gli altri, Monsieur Camembert, cabina 12, che oggi si è lamentato per aver trovato il lavabo pieno di maionese…
Cosa strana, perché di solito nei lavabi teniamo gli affettati, questo per via dell’inesistenza delle cucine…e questo grazie alla spiritosa dimenticanza del progettista di questa nave, l’insigne ingegner Camilleri, anoressico di fama mondiale.
Credetemi, non ne troverete altre di navi così:
Forse, se cercherete per anni sono sicuro che riuscirete a trovare un capitano claustrofobico, un timoniere cieco, un marconista balbuziente e un dottore dal nome impronunciabile, tutti sulla stessa nave, una nave senza cucine.
Può darsi.
Ma quel che non vi succederà più, potete giurarci, è di stare lì seduti col culo su dieci centimetri di poltrona e centinaia di metri d’acqua, nel cuore dell’Oceano, con davanti agli occhi il miracolo, nelle orecchie la meraviglia, nei piedi il ritmo e nel cuore il sound
Dell’unica, inimitabile, infinita, ATLANTIC JAZZ BAAAAND !!!!!

Anno: 1994
Lingua originale: italiano
Età scenica:
indefinita
Difficoltà: media
Adatto a: attori (o attrici) con una buona gestione del fiato e un ottima articolazione
Grado di originalità: medio-basso

Note: Novecento fu scritto da Alessandro Baricco per l’attore Eugenio Allegri, grande interprete di Commedia dell’Arte. Tutto il testo è un lungo monologo: il brano che proponiamo dà la possibilità all’interprete di far vedere la propria energia e la propria verve umoristica. Va interpretato ispirandosi un po’ agli animatori dei villaggi o ai presentatori particolarmente brillanti. Nonostante sia Tim Tooney a declamarlo, ovvero il narratore della storia di Novecento che all’epoca dei fatti ha tra i 17 e i 18 anni, chi dice davvero queste parole è il capo della Atlantic Jazz Band, la cui età non è precisata. Eugenio Allegri nella prima rappresentazione aveva 38 anni. Proprio per questi motivi il monologo è adatto a qualsiasi età. Ci raccomandiamo di usare tutta l’energia possibile durante la performance.

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MONOLOGO MASCHILE
Il re muore
Eugène Ionesco

BERENGER IV
Come fare? Non è possibile, oppure nessuno vuole aiutarmi. Io stesso non posso aiutarmi. O sole, o sole mio, aiutami tu, fuga le ombre, dissipa la notte. Sole, sole, rischiara tutte le tombe, entra in tutti gli angoli bui, in tutti i buchi, penetra in me. Ah! i miei piedi cominciano a raffreddarsi, vieni a scaldarmi, entra nel mio corpo, sotto la mia pelle, nei miei occhi. Riaccendi la loro fiamma vacillante e fa’ ch’io veda, veda, veda. Sole, sole, mi rimpiangerai? Caro sole, buon sole, difendimi. Isterilisci e distruggi il mondo intero se occorre un piccolo sacrificio. Che tutti periscano, purché io viva eternamente, anche solo, in un deserto senza frontiere. Mi metterò d’accordo con la solitudine. Custodirò il ricordo degli altri e li rimpiangerò sinceramente. Io posso vivere nell’immensità trasparente del vuoto. E meglio rimpiangere che essere rimpianti. D’altronde non lo si è mai. Luce del giorno, aiuto!
Che io esista, magari col mal di denti, per secoli e secoli. Ahimè, ciò che deve finire è già finito.
No, non si piange abbastanza attorno a me, non mi si piange abbastanza. Non c’è abbastanza angoscia. Non impedite a nessuno di piangere, di urlare, d’aver pietà del re, del giovane re, del povero piccolo re, del vecchio re. Io mi commuovo quando penso che esse mi rimpiangeranno, che non mi vedranno piú, che saranno abbandonate, che saranno sole. Son sempre io a pensare agli altri, a tutti. Entrate in me, voi, siate me, entrate nella mia pelle. Muoio, capite, voglio dire che muoio, ma non riesco a dirlo, faccio soltanto della letteratura. Sono tutti degli estranei. E io credevo che formassero la mia famiglia. Ho paura, sprofondo, affondo, non so più niente, non sono mai esistito. Muoio.
O tutti voi, legioni e legioni, che siete morti prima di me, aiutatemi. Ditemi come avete fatto a morire, ad accettare. Insegnatemelo. Che il vostro esempio mi conforti, ed io possa appoggiarmi a voi come a grucce, a braccia fraterne. Aiutatemi a varcare la soglia che voi avete varcato. Tornate per un istante in questo mondo, venite in mio soccorso. Aiutatemi, voi, che avete avuto paura e che non avete voluto. Come sono andate le cose? Chi vi ha sostenuto? Chi vi ha trascinato, chi vi ha spinto? Avete avuto paura sino alla fine? E voi, che eravate forti e coraggiosi, che avete acconsentito a morire con indifferenza e serenità, insegnatemi l’indifferenza, insegnatemi la serenità, insegnatemi la rassegnazione.

Anno: 1962
Lingua originale: francese
Età scenica:
indefinita
Difficoltà: media
Adatto a: attori (o attrici) che siano in grado di cambiare spesso tono e ritmo
Grado di originalità: alto

Note: È uno dei testi più interessanti di Ionesco (il preferito del nostro direttore). Parla del re dell’universo, convinto di essere immortale, che ad un certo punto deve fare i conti con la propria fine, necessaria affinché vi sia un nuovo inizio, fine che non vuole accettare. La scrittura di Ionesco è difficile da descrivere senza correre il rischio di sminuirla. Questo monologo è più che mai attuale, se si considera che il più grande problema della società attuale è l’incapacità delle vecchie generazioni di farsi da parte per lasciar spazio al nuovo.
Quando pronuncia questo monologo Berenger IV è improvvisamente invecchiato (di centinaia di anni si dice nel testo), ma questo non significa che un attore o un’attrice più giovane non possa interpretarlo al meglio.

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MONOLOGO FEMMINILE
I rusteghi
Carlo Goldoni

FELICE
Mo perché questo, mo perché st’altro! Ascoltème; sentì l’istoria come che la xè. Lassème dir; no me interrompè. Se gh’ho torto, me darè torto; e se gh’ho rason, me darè rason. Prima de tuto, lassè, patroni, che ve diga una cossa. No andè in colera, e no ve n’abiè per mal. Sè tropo rusteghi; sè tropo salvadeghi. La maniera che tegnì co le donne, co le muggier, co la fia, la xè cusì stravagante fora de l’ordinario, che mai in eterno le ve poderà voler ben; le ve obedisse per forza, le se mortifica con rason, e le ve considera, no marii, no padri, ma tartari, orsi e aguzini. Vegnimo al fato. (No “vegnimo a dir el merito”, vegnimo al fato). Sior Lunardo vol maridar la so pura, nol ghe lo dise, nol vol che la lo sapia; no la lo ha fa véder; piasa, o no piasa, la lo ha da tòr. Accordo anca mi, che le pute no sta ben, che le fazza l’amor, che el mario ghe l’ha da trovar so sior padre, e che le ha da obedir, ma no xè mo gnanca giusto de meter alle fie un lazzo al colo, e dirghe: ti l’ha da tiòr. Gh’avè una fia sola, e gh’avè cuor de sacrificarla? (a Lunardo) Mo el puto xè un puto de sesto, el xè bon, el xè zovene, nol xè bruto, el ghe piaserà. Seu seguro, “vegnimo a dir el merito”, che el gh’abia da piàser? E se nol ghe piasesse? Una puta arlevada a la casalina con un mario fio d’un pare selvadego, sul vostro andar , che vita doveràvela far? Sior sì, avemo fato ben a far che i se veda. Vostra muggier lo desiderava, ma no la gh’aveva coraggio. Siora Marina a mi s’ha racomandà. Mi ho trovà l’invenzion de la maschera, mi ho pregà el forestier. I s’ha visto, i s’ha piasso , i xè contenti. Vu doveressi esser più quieto, più consolà. Xè compatibile vostra muggier, merita lode siora Marina. Mi ho operà per bon cuor. Se sè omeni, persuadève, se sè tangheri, sodisfève. La puta xè onesta, el puto no ha falà; nualtre semo donne d’onor. Ho fenito la renga; laudè el matrimonio, e compatì l’avocato.

Anno: 1760
Lingua originale: veneziano
Età scenica:
30/35 anni
Difficoltà: medio-alta
Adatto a: attrici (o attori) con una buona energia e con grande intelligenza scenica
Grado di originalità: medio

Note: Questo monologo è forse uno dei rappresentativi del teatro goldoniano, per l’estrema capacità del drammaturgo veneziano di mettere in bocca ai propri personaggi delle parole “vere” e delle espressioni perfettamente riconoscibili dal pubblico. Il carattere del personaggio è forte, coraggioso, in qualche modo rivoluzionario. Interpretarlo al meglio significa essere grandi osservatori della realtà che ci circonda. Non va eseguito in modo civettuolo o leggero, anzi: è un monologo duro, deciso, con un tono di rimprovero verso gli ascoltatori, ovvero 3 dei 4 “rusteghi” (ovvero uomini dal carattere difficile, antiquato) che danno il titolo della commedia. Con una certa dose di audacia è preferibile rivolgersi direttamente a chi ci sta ascoltando, nel caso di un provino d’esame, trattando gli esaminatori e le esaminatrici come parte della scena. Il personaggio in origine era interpretato dall’attrice Caterina Bresciani, la cui forza permise a Carlo Goldoni di disegnare i suoi ultimi personaggi femminili con una straordinaria capacità di riempire la scena. Importante: si faccia riferimento a qualche video solo per la pronuncia corretta del veneziano di Goldoni, non per lo stile, ricordandosi che il suono e la musicalità sono più simili al napoletano che non al veneziano che si parla oggi, che ha una cadenza troppo rotonda e particolarmente “cantata”.

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MONOLOGO FEMMINILE
Filumena Marturano
Eduardo De’ Filippo

FILUMENA

Mi siete figli! E io sono Filomena Marturano, e non ho bisogno di parlare. Voi siete giovanotti e avite sentito parlare di me. Di me non devo dire niente! Ma di me fino ai miei diciassette anni, sì. Avvocato, conoscete quei bassi… A San Giovanniello, ai Vergini, a Forcella, ai Tribunali, al Pallonetto! Neri, affumicate… dove d’estate non si respira per il caldo perché la gente è tanta, e d’inverno il freddo fa sbattere i denti…Dove non c’è luce neanche a mezzogiorno… Pieni di gente! Dove è meglio avere freddo che avere caldo… In uno di quei bassi, al vicolo San Liborio, abitavo io con la famiglia mia. Quanti eravamo? Una folla! Io non so che fine ha fatto la mi famiglia. Non voglio saperlo. Non lo ricordo!… Sempre con le facce girate, sempre in urto l’uno con l’altro… Andavamo a dormire senza dirci: «Buonanotte!». Ce svegliavamo senza dirci: «Buongiorno!» Ricordo solo una parola buona, che mi disse mio padre… e quando me la ricordo tremo ancora… Avevo tredici anni. Mi disse: «Ti stai facendo grande, e qui non c’è da mangiare, lo sai?» E il caldo!… Di notte, quando si chiudeva la porta, non si poteva respirare. La sera ci mettevamo intorno alla tavola… Un solo piatto grande e non so quante forchette. Forse non era vero, ma ogni volta che mettevo ‘la forchetta in quel piatto, mi sentivo osservata. Mi sembrava di rubarlo, quel cibo!… Avevo diciassette anni. Passavano le signorine vestite bene, con belle scarpe, e io le guardavo… Passavano sottobraccio ai fidanzate. Una sera incontrai una mia amica, che non conobbi talmente stava vestita bene… Forse, allora, tutto mi sembrava più bello… Me disse: (Sillabando) «Così… così… così…» Non ci dormii tutta la notte… E il caldo… il caldo… E conobbi te! Là, ti ricordi?… Quella «casa» mi sembrava una reggia… Una sera tornai al vicolo San Liborio, il cuore mi batteva forte. Pensavo: «Forse non mi guarderanno in faccia, mi metteranno alla porta!» Nessuno mi disse niente: chi me dava la sedia, chi m’accarezzava… E mi guardavano come se fossi una superiore a loro, che dà soggezione… Solo mamma, quando andai a salutarla, aveva gli occhi gonfi di lacrime… Non ritornai più a casa mia! (Quasi gridando) Non ho ucciso i miei figli! La famiglia… la famiglia! Ci ho pensato per venticinque anni! (Ai giovanotti) E vi ho cresciuti, vi ho fatto diventare uomini, ho derubato lui (Mostra Domenico) per crescervi!

Anno: 1946
Lingua originale: napoletano
Età scenica:
45/50 anni
Difficoltà: medio-alta
Adatto a: attrici (o attori) con una buona energia e con grande intelligenza scenica
Grado di originalità: medio

Note: È uno dei personaggi femminili più belli del teatro italiano, scritto in modo magistrale da De’ Filippo per la sorella Titina. È sempre importante leggere tutto il testo prima di affrontare un monologo, ma in questo caso è assolutamente vitale comprendere lo scenario e le persona che sono presenti mentre Filumena pronuncia in modo aspro le proprie parole (i figli, Domenico, l’avvocato…). Questo monologo è stato interpretato dalle più grandi attrici italiane. Nonostante sconsigliamo sempre in modo fermo l’imitazione di ciò che si trova in rete, l’interpretazione di Regina Bianchi merita di essere guardata e può aiutare a trovare la giusta strada.

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MONOLOGO FEMMINILE
Il gabbiano
Anton Čechov

NINA
Lui non credeva nel teatro, rideva sempre delle mie fantasie, e a poco a poco anch’io smisi di credervi e mi perdetti d’animo… E poi le sollecitudini dell’amore, la gelosia, la continua paura per il piccolo… Divenni meschina, mediocre, recitavo sconnessamente… Non sapevo che fare con le mani, non sapevo stare sul palcoscenico, non dominavo la voce. Non puoi capire la condizione di chi sente di recitare in maniera orribile.
Io sono un gabbiano. Che c’entra. Ricordi? Uccidesti un gabbiano. Giunse un uomo, per caso, lo vide e, per passare il tempo lo rovinò… Un soggetto per un breve racconto. Che c’entra…
Di che stavo parlando?… Ah, della scena. Adesso sono diversa. .. Ormai sono una vera attrice, recito con piacere, con entusiasmo, mi inebrio sul palcoscenico e mi sento bellissima. Ora poi, da quando son qui, cammino a lungo, cammino e penso, penso e sento crescere di giorno in giorno le mie forze spirituali… Adesso io so, io capisco, Kostja, che nel nostro lavoro – poco importa se recitiamo o scriviamo – l’essenziale non è la gloria, non è il lustro, non è ciò che sognavo, ma la capacità di soffrire. Sappi portar la tua croce e abbi fede. Io ho fede, e questo mi allevia il dolore, e quando penso alla mia vocazione, non ho paura della vita.

Anno: 1895
Lingua originale: russo
Età scenica:
30/35 anni
Difficoltà: medio-bassa
Adatto a: attrici (o attori) che vogliono cimentarsi con qualcosa di non troppo complesso
Grado di originalità: molto basso

Note: Il monologo è interessante poiché Nina, il personaggio, è un’attrice. Spesso (incomprensibilmente) viene interpretato rendendo la protagonista instabile, quasi folle, ma noi riteniamo che non sia assolutamente il modo corretto di farlo, anzi. Il personaggio è particolarmente ricco di sfumature, ma, come in tutti i testi di Čechov, la sua essenza si sviluppa nel corso di tutta l’opera e il solo monologo non ne rende giustizia, ecco perché abbiamo indicato un grado di difficoltà medio-bassa: il monologo da solo non lo riteniamo troppo difficile da preparare, mentre interpretare il personaggio nella sua interezza troviamo sia estremamente delicato e complesso. Questo monologo è estremamente inflazionato, è molto facile che più attrici lo portino a una stessa audizione. Però può essere un ottimo allenamento. Segnaliamo l’ottima interpretazione del 2022 di Emila Clarke per il National Theatre, nella suggestiva rivisitazione di Anya Reiss.

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MONOLOGO FEMMINILE
Troiane
Euripide

CASSANDRA
Corona, madre, la mia testa vittoriosa. Esulta per le mie nozze regali. Spingimi a questo passo, se io indugio. Se Apollo è davvero dio Ambiguo, Agamennone, il grande signore, avrà per sé una sposa più funesta di Elena. Io strumento di morte, io rovina della sua casa, io vendetta per mio padre e i miei fratelli, morti. Ma… questi orrori voglio tacere. Non canterò la scure che si abbatte sul collo, per me e gli altri. Non canterò il matricidio, né la rovina atroce della casa di Atreo. Io, ora, piena di dio, uscirò ora dal mio delirio e dirò: questa città in fiamme è più felice dei Greci. Loro, alla caccia di Elena, per una donna, per un amore, hanno perduto infiniti uomini. E Agamennone, così nobile e saggio, per una cosa odiosa ha distrutto la cosa più cara: sua figlia, Ifigenia, gioia del focolare. E tutto questo per godersi una donna, rapita non a forza, ma fuggita di sua volontà. Qui, sulle rive di Scamandro, son venuti a morire, non a difendere la loro patria. Quelli che Ares s’è preso non hanno visto i figli, non sono stati avvolti nel sudario funebre dalle loro mogli, ma giacciono in una terra straniera. E nella loro patria morivano vedove le donne, e i padri senza figli, e i figli crescevano per altri. E nessuno su quelle tombe offrirà sangue di vittime alla terra. Ecco, di questa lode è degno questo esercito. Ma… queste vergogne voglio tacere. Per me non ci sia canto per cantare il male. Ma i Troiani, loro sì, son morti per la patria e questa è lode santa. Morti sul campo, abbracciati dalla terra materna, composti in candidi panni dalle mani dei cari. E chi non moriva in battaglia, a sera, ogni giorno, tornava ai figli e alla sposa. Queste gioie gli Achei non conobbero. E il destino di Ettore, per te doloroso, ascolta in realtà come sta: un uomo è scomparso, è morto ed ha fama di eroe, e questo grazie agli Achei. Se quelli restavano a casa, lui era ignorato, lui valoroso com’era. E Paride ha sposato la figlia di Zeus: se non la sposava, restava all’oscuro nella sua casa. Chi è sano di mente deve evitare la guerra, ma se si arriva alla guerra, la bella morte sarà corona di gloria per la sua patria. Per questo, madre, non devi piangere né questa nostra terra né il mio letto: i tuoi nemici e i miei, odiosi, io con le mie nozze li distruggerò.

Anno: 415 a.C.
Lingua originale: greco antico
Età scenica:
15/20 anni
Difficoltà: media
Adatto a: attrici (o attori) giovani, con una buona gestione del corpo e dei movimenti
Grado di originalità: medio-basso

Note: Il monologo è utile per chi ha necessità di cimentarsi con un testo classico. In questa scena Cassandra parla con la madre, Ecuba, comunicando la propria gioia nel diventare la schiava di letto del re Agamennone dopo la disfatta di Troia. Giudicata folle da chiunque sia lì ad ascoltarla, è al contrario estremamente lucida e fredda, poiché questo sarà per lei il modo perfetto per vendicarsi di Agamennone e di ucciderlo. Nelle sue parole c’è una visione cristallina di quello che è successo, che mal si sposa con il grado di dolore e di sgomento di sua madre, delle donne troiane e dello stesso Taltibio che sono lì ad ascoltarla. Con le sue parole cerca di convincere la madre, quasi consolandola, ed è questo il tono di partenza più utile da usare. In tutto il teatro di Euripide si possono trovare ottimi monologhi femminili: nello stesso testo de “Le troiane” segnaliamo anche il monologo di Andromaca.

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MONOLOGO FEMMINILE
Capitano Ulisse
Alberto Savinio

CIRCE
Ma che uomo sei tu? Ti guardo e stento a riconoscerti.
Se i tuoi occhi, la tua faccia, la tua voce non avessero serbata la forma,
il suono di colui che…
ah, non farmi ricordare!… Giurerei che un estraneo, un ignoto, un nemico, scacciata l’anima di Ulisse, s’è collocato in questo corpo che non è più se non un’ apparenza…
Dimmi, ti prego, sei tu Ulisse?
Chi chiama?…
Chiamano Ulisse…
e tu non rispondi!
(il suo occhio smarrisce)
È vero dunque!… Forse…
(nuovi pensieri, e più nebbiosi, le attraversano la mente)
Dimmi: sei vivo ancora? Non mentire: nemmeno per pietà!
Io ti vedo come fossi morto,
ti parlo come parlerei a un morto,
ti guardo come guarderei una finestra murata che ha chiuso il suo occhio al cielo…
Non capisco più!
La mia mente è debole, come in sogno… Credi che riuscirò a liberarmi? A sormontare questa invisibile montagna? A varcare questa distanza terribile?…
Non sento più la voce… Ulisse, parla! Parla, per carità! Dimmi una parola! Una parola sola!
Sì, ho sentito: qualcuno mi ha chiamata, che non dovrò rivedere mai più…
Perché? perché se ne è andato? Perché me l’hanno portato via?
Ecco: chiama ancora… Che posso fare, io?…
Una volta conoscevamo assieme un linguaggio dolcissimo, segreto, geloso, lieve come il pensiero…
Chi sa se potrò riudire mai quel linguaggio?…
Vorrei! appena un suono…
Pietoso sarebbe stato, dolce forse, dirmi che Ulisse non è più.
Che m’importava l’aspetto di Ulisse, quando avessi saputo che quell’aspetto
gli era stato usurpato dal mio peggiore nemico!…
L’anima del vero Ulisse, dell’Ulisse mio sarebbe rimasta vicino a me, come fedele fantasma.
(piange)
Vattene!
Avrei preferito morire, piuttosto che lasciare i miei occhi piangere
davanti a te!…
Ma non posso! non posso!…
Anche i miei occhi mi hanno tradita!

Anno: 1934
Lingua originale: italiano
Età scenica:
20/25 anni
Difficoltà: medio-alta
Adatto a: attrici (o attori) in grado di cambiare spesso tono e ritmo
Grado di originalità: molto alta

Note: Portare questo monologo ad un provino o ad un esame rappresenta un’ottima scelta, sia per l’originalità sia per la tipologia di scrittura. “Capitano Ulisse” ha molto del teatro pirandelliano per diversi motivi e ne contiene tutti gli elementi caratteristici. Nella scena Circe scopre Ulisse che sta per imbarcarsi, abbandonando l’isola di nascosto in modo vigliacco, secondo Circe. Qui la potente maga mitologica ci rivela tutta la sua fragilità umana, e la sua sofferenza passa attraverso la rabbia, il disgusto e lo scherno. È un ottimo modo per far emergere le proprie doti attoriali di fronte ad una commissione d’esame e contemporaneamente un buon esercizio da usare per workshop o seminari che richiedano la preparazione di un monologo. Essendo poco rappresentato, nonostante la sua assoluta notorietà nell’ambiente teatrale, molto difficilmente sarà oggetto di confronto con altre interpretazioni da parte della commissione.

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MONOLOGO FEMMINILE
La signorina Julie
August Strindberg

JULIE
Ammazza anche me! Ammazzami! Tu che puoi uccidere una bestiolina innocente, senza che ti tremi la mano! Ti odio! Maledico l’istante in cui ti ho visto per la prima volta; maledico l’istante in cui fui concepita nel grembo di mia madre! Io vorrei vedere il tuo, di sangue, e tutto il tuo cervello sopra questo tavolo!… Tutto il tuo sesso vorrei vederlo galleggiare in un lago di sangue!… E credo che potrei bere nel tuo cranio; che potrei immergere i miei piedi nelle tue viscere; che potrei sfamarmi col tuo cuore arrostito allo spiedo!… Tu credi che io sia debole, credi che ti ami, perché ti ho desiderato dentro di me; credi che io voglia portare la tua discendenza dentro la mia pancia, nutrendola col mio sangue… credi che io intenda partorire un figlio tuo cui verrebbe imposto il tuo nome!… Ma come ti chiami? Io non l’ho mai sentito, il tuo nome di famiglia!… credo anzi che tu non ne abbia nessuno! E io dovrei diventare la signora portinaia… oppure la signora lavapiatti… perché tu – cane che porti il mio collare – possa farmi rivale della mia serva? È qui che intendo restare! Mio padre tornerà a casa; troverà la cassaforte aperta e il denaro sparito! Alzerà il telefono per chiamare il servitore!… Gli ordina di andare a chiamare la polizia… cui io racconterò tutto. Tutto!… Oh, sarà bello da vedere!… purché si finisca. Allora a mio padre gli piglierà un accidente e ne morirà!… E si morirà tutti insieme… e vi sarà la pace…l’eterno riposo!… e il servo ambizioso… conquisterà i suoi allori in una fogna e finirà per morire in galera! Tu mi puoi capire, Kristina; ascoltami. Tu non hai mai viaggiato, Kristina, e devi pure uscir di qui e conoscere il mondo! Non puoi farti un’idea di quanto sia piacevole viaggiare!… Veder facce nuove… nuovi paesi… e così arriveremo ad Amburgo, dove potremo visitare il giardino zoologico… quello ti piacerà di certo. Poi ce ne andremo a teatro per sentire l’opera… e quando saremo a Monaco, visiteremo i musei!… Rubens, Raffaello, grandissimi pittori, come ben sai… Hai di certo sentito parlare di Monaco, dove abitava re Luigi… quel re che diventò matto, come sai. E potremo visitare i suoi castelli. Si, perché ci sono ancora dei castelli, arredati come nelle fiabe!… E di là, per recarci in Spagna, non sono che due passi. Giunti là, impianteremo un albergo… Io me ne starò alla cassa, mentre Jean se ne starà sulla porta per ricevere gli ospiti… Farà gli acquisti… terrà la corrispondenza… Quella si che sarà vita, credimi… I conti li farò io, beninteso, e li farò salati! Perché non te l’immagini come io sappia farli salati… E nemmeno puoi immaginarti quanto siano timidi gli ospiti quando debbono saldare i loro conti!… Quanto a te… siederai come sovrintendente alle cucine. Tu, si capisce, non dovrai certo stare davanti ai fornelli, potrai esser calzata e vestita elegantemente quando ti presenterai davanti alla gente… E, data la tua bella presenza… si, non credere che ti aduli… non ti sarà difficile un bel giorno, accalappiare un marito! Per esempio un ricco inglese, si… perché quella, vedi, è gente che si accalappia facilissimamente! E allora eccoci diventati ricchi!… (stanca). Oppure no. Non lo so; non credo più a nulla, io! (Si lascia cadere sulla sedia, appoggia le braccia sul tavolo e vi piega sopra la testa.) Più a nulla, non credo più assolutamente a nulla!

Anno: 1888
Lingua originale: svedese
Età scenica:
20 anni
Difficoltà: medio-alta
Adatto a: attrici (o attori) in grado di cambiare spesso tono e ritmo, con buona gestione del corpo e del respiro
Grado di originalità: media

Note: Non è un monologo facilissimo, ma permette di far risaltare la capacità di cambiare ritmo e tono a piacimento. In questa scena Julie alterna più stati d’animo che vengono costruiti sapientemente da Strindberg in modo stratificato: le fondamenta sono la disperazione, in cima la rabbia: ogni qualvolta si esaurisce uno sfogo si passa al livello sottostante (il disprezzo, l’auto-commiserazione, la disperazione). Consigliamo di prepararlo in molti modi diversi, poiché sicuramente verrà richiesto dalla commissione esaminatrice o dal docente di riferimento di cambiare alcune caratteristiche durante la performance per capire il grado di adattabilità dell’interprete.

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