(Nel blog del Centro Teatrale mancava un articolo a tema “buone feste”, quindi eccomi qui!)
Prendiamo in considerazione tutte le opere di Shakespeare, notate qualcosa? Esatto, il Capodanno non è praticamente mai nominato e il Natale compare soltanto tre volte. Ma insomma, perché Shakespeare odiava così tanto questo periodo dell’anno?
La questione del Capodanno è facile da spiegare, semplicemente in Gran Bretagna il calendario gregoriano fu adottato solo nel 1752. Nell’Inghilterra elisabettiana, l’anno cambiava il giorno dell’Annunciazione, cioè il 25 marzo. Era anche consuetudine scambiarsi dei regali per l’anno nuovo, come dimostra questa battuta da “Le Allegri Comari di Windsor”:
FALSTAFF:
[…] Well, if I be served such another trick,I’ll have my brains ta’en out and buttered, and give them to a dog for a new-year’s gift.
(“Merry Wives of Windsor”, Act 3, Scene 5)
FALSTAFF:
[…] Beh, se m’addossano un’altra di ste uccellate, io mi faccio cavare e imburrare le cervella, e le butto a un cane per strenna di capo d’anno.
(“Le allegre comari di Windsor”, Atto III, Scena V)
Quindi non c’erano celebrazioni per Capodanno, l’abbiamo capito. Ma allora per quale ragione ci sono così pochi riferimenti al Natale nei testi di Shakespeare?
Ovviamente, ai suoi tempi il Natale era molto diverso da come lo festeggiamo oggi. Il Natale come lo conosciamo diventò popolare circa duecento anni dopo la morte di Shakespeare, quando la Regina Victoria e il Principe Albert importarono alcune delle tradizioni natalizie tedesche.
Prima di loro, era Pasqua la principale festività cristiana. Natale era una festa meno importante, ma non meno celebrata. Era caratterizzata dalla sua durata – 12 giorni, dal 25 dicembre al 6 gennaio – e dalla vivace e partecipata attività sociale, con giochi, sport, musica e banchetti.
Era il nostro cenone della vigilia però prolungato per dodici (D O D I C I) giorni interi. Cioè immaginate di dover mangiare tuuutta quella roba, vedere tuuutti quei parenti, bere tuuutto quel vino per dodici. giorni. consecutivi… Dov’eravamo? Ah sì, andiamo a vedere le tre volte in cui William Shakespeare nomina il Natale nelle sue opere:
1.PENE D’AMOR PERDUTE
Atto I, Scena I (“Love’s Labour’s Lost”, Act 1, Scene 1)
BEROWNE:
At Christmas I no more desire a rose
Than wish a snow in
May’s new-fangled mirth
BEROWNE:
Per Natale io non ho voglia di rose
più che non voglia neve sulle nuove
vesti di Maggio
2.PENE D’AMOR PERDUTE
Atto V, Scena II (“Love’s Labour’s Lost”, Act 5, Scene 2)
BEROWNE:
I see the trick on’t: here was a consent,
Knowing aforehand of our merriment,
To dash it like a Christmas comedy.
BEROWNE:
Vedo qual è il trucchetto.
Vi eravate accordate,
del nostro scherzo in anticipo informate,
per mandarcelo in aria come una recita di Natale.
3.LA BISBETICA DOMATA
Prologo Scena II (“The Taming of the Shrew,” Induction Scene 2)
SLY:
Marry, I will; let them play it.
Is not a comonty a Christmas gambold or a tumbling-trick?
SLY:
Sì, diamine. Che recitino.
La comodia non è un trescone natalizio o un numero da saltimbanchi?
Credo di poter affermare con una certa sicurezza che Guglielmo non è che stia proprio cercando di nascondere il suo disprezzo per i festeggiamenti, in particolare per i concorsi di recitazione tenuti tra le tante attività celebrative.
In “Pene D’Amor Perdute”, Berowne intuisce che il corteggiamento è fallito poiché le sue amiche stanno prendendo in giro i ragazzi che ci avevano provato. Attribuisce il loro gesto ridicolo a quanto è ridicola una “recita di Natale”.
Ne “la Bisbetica Domata”, la parola gambold è stata tradotta dai nostri amici di ShakespeareItalia con trescone – che è un ballo medievale tipico della Toscana – per indicare qualcosa di spassoso e leggero, un po’ come gli atteggiamenti tremendi che si vedono in giro nel periodo di Natale!
Fun fact: nessuna opera di Shakespeare è ambientata a Natale. No, nemmeno “La Dodicesima Notte”, nonostante sia comunemente considerato un testo natalizio.